L'indomani mattina, fui svegliata
dal solito sonno agitato da un rumore molesto. Ci misi un po' a
capire che era un asciugacapelli. Ero intontita. Nel sogno, questa
volta, mi era sembrato di intravvedere qualcosa. Come dei volti, ma
molto sfocati. Ero sicura che, se non mi fossi svegliata, lo avrei
capito. E invece...
In ogni caso non ero sola ad
essere sveglia. Quando, dopo aver zoppicato fino alla porta,
la aprii, vidi che anche Rose e Violet fissavano la porta del bagno
imbronciate. E poi, ne uscì la mia biondissima cugina, con il corpo
magrissimo e la camminata come se fosse in perpetua sfilata di
moda. Sembrava una barbie. Sembrava Paris Hilton.
“Vi
ho svegliate?” chiese.
Ci guardammo tutte e tre.
“No”
dissi ironicamente.
“Oh,
temevo di si!” disse ridendo e andando in cucina.
Passai la giornata seduta
sull'altalena in giardino con Violet e Rose mentre Jane guardava
reality show alla TV. Alla fine mi chiesi perché diavolo era venuta
da me se poi non si occupava delle bambine. A metà del pomeriggio,
arrivò Will, con una valigetta.
“Ciao!”
mi salutò.
“Ciao.”
Le mie sorelline cominciarono ad
assumere un atteggiamento da chiocce. Ma Will non facevo caso a
loro. Era più interessato alla sua paziente, cioè io. Yeah!
“Vedo
che hai ricominciato a camminare” sorrise.
“Si,
beh...mi fa ancora male. Ma per il resto va abbastanza bene.”
“Il
muscolo deve riprendersi” disse con professionalità. “E poi, hai
perso sangue e materia.”
'Materia'. Bleah!
“Senti...”
sapevo che mi avrebbe negato ciò che stavo per chiedergli, ma volevo
provarci.
“Potrei
prendere degli antidolorifici?”
Will mi guardò con compassione.
“Mi
dispiace, ma è meglio di no. È passato troppo poco tempo, e rischi di diventarne dipendente.”
Come immaginavo.
“Chi
è?”
Jane si affacciò dalla porta.
“Oh...ciao,
Will!”
Lui sollevò appena lo sguardo.
“Ciao. Magari è meglio che ci spostiamo in casa per cambiare la
fasciatura.”
“Ok.”
“Aspetta,
ti prendo io, così non ti sforzi.”
E mi ritrovai tra le sue braccia.
Fu un piacere pensare che in quel momento tutte le persone che mi
stavano guardando mi invidiavano.
Will mi posò sul divano, sollevò
il tessuto del pantalone e cominciò a togliere le bende e la garza.
Quando ebbe terminato, fu come avevo previsto. Un pugno allo stomaco.
C'era un lungo taglio su tutto il polpaccio. Lì dove Will aveva
messo i punti, ebbi la strana impressione che fosse come un salame.
Distolsi lo sguardo. Oddio, la mia gamba!
“Quanto
resterai qui, Will?” chiese Jane avvicinandosi.
Oh, no, non adesso.
“Tre
settimane” rispose lui, cominciando ad estrarre dalla valigetta la
garza.
“E
come va all'università?”
“Bene,
grazie. Dovrei laurearmi entro la metà dell'anno prossimo.”
“Oh,
bene! Così potrai tornare qui, e magari aprire un ambulatorio tutto
tuo...”
“A
dir la verità spero più in un posto in città.”
“Meglio!”
Jane gli era quasi addosso, e lui mi stava sistemando le garze sulla
gamba.
“Così
magari potremmo vederci e...”
“Scusa
se ti interrompo, Jane, ma sto curando Lily, e non voglio sbagliare
niente.”
“Ok”.
Jane si alzò e se ne andò, offesa. Io sospirai di sollievo.
Finalmente, gli chiesi la domanda
che mi assillava dal giorno prima.
“Mi
resterà una cicatrice, vero?”
Lui cominciò a estrarre le bende.
“Si”
disse alla fine. “Non so ben dirti quanto sarà evidente, ma una
cicatrice di sicuro resterà.”
Abbassai il capo. Col cavolo!
“Tranquilla”
disse per confortarmi, mettendomi una mano sulla spalla. “Non si
vedrà molto, te lo prometto.”
Si alzò. Aveva finito.
“Mi
dispiace che ora tutto il villaggio ne parli. Deve essere difficile
per te essere di nuovo al centro dell'attenzione.”
“Oh,
quello era inevitabile” dissi laconica.
“Già...hai
capito perché spero in un posto all'ospedale?”
“Si...”
Alla fine, avevamo la stessa
voglia di fuggire, io e Will.
“Ah...quella
ora penso che te la puoi togliere” disse indicando la benda sul
braccio. Me la tolse lui. Il mio braccio, fortunatamente, sarebbe
guarito senza problemi. La pelle era stata strappata via dall'asfalto
per tutto l'avambraccio, ma per il resto, non sembrava così grave.
Quando venne la sera, Jane si degnò almeno di preparare la cena. Surgelati.
Quella sera faceva un po' più
caldo del solito. Mi misi un paio di pantaloncini. Chi se ne fregava se si vedeva la fasciatura, dopotutto. Non era ancora completamente calata la notte. Per la
prima volta dopo tre giorni, decisi di andare in strada. Chissà
perchè, da quando avevo avuto l'incidente la temevo. Guardai a
sinistra e a destra. Era deserta. Come sempre la sera a Ghostly
Village. Volevo fare Whisper street avanti e indietro. Zoppicando, mi
avviai.
Non ero arrivata neanche a metà
strada, quando sentii delle risate e Justin Corbett e la sua banda al
completo svoltarono. Ovviamente, mi videro subito. Cazzo.
“Guarda
un po' chi si vede, Lily Byrd, ed è viva!”
Gli altri risero. Io rimasi
immobile. Ma perché ero così sfigata?
“Ciao,
Corbett.”
“Sai,
stavo pensando, Byrd...”
“Tu
pensi?” gli chiesi, interrompendolo. Nonostante continuò a
parlare, Justin fu visibilmente irritato, e io ne gioii.
“Dicevo,
quella cosa che mi hai detto alla festa di Ticknor...che mi avevi visto schiacciato da un camion. Magari hai davvero visioni
profetiche...solo che al posto di te, ci vedi gli altri.”
Gli altri sghignazzarono dalle
risate. Io ero furibonda. Avevo permesso a mia cugina di entrare in
casa mia. E ora Justin Corbett, la persona che più detestavo al mondo, stava scherzando su di me.
“Sei
fortunato, Corbett, perché ho una gamba fuori uso. Altrimenti, anche
se hai tutte le tue guardie del corpo a proteggerti, non so se
avresti ancora le palle.”
“Ohoho!
Ma guarda che coraggio! E sai cosa succede se lo fai, Byrd? Sbarcano
a casa tua i poliziotti e ci trovano una bella sorpresina.”
“E
come fai ad esserne sicuro?”
“Beh...non ci vuole molto a scavare una piccola buca nella sabbia delle tue
sorelline...sai che i cani hanno un ottimo odorato?”
Gli altri risero. Io mi morsi il
labbro fino a farmi male.
“Vattene”
dissi dura, e girai i tacchi.
Ero infuriata. Se solo avessi
potuto correre! E invece no, zoppicavo, e se anche solo ci avessi
provato avrei riaperto la ferita, e il sangue sarebbe di nuovo
colato, rendendo inutile il paziente lavoro di Will. E avevo male,
col cavolo! Le lacrime di rabbia cominciarono a rigarmi il viso.
“Perché
sei triste?” disse d'un tratto una voce gentile.
Mi girai. Lì, vicino ad un
albero, c'era Nathaniel.
Oh...qualcuno con cui parlare.
Ecco di chi avevo bisogno. Mi avvicinai, e mi sedetti accanto
a lui, sulla corteccia. Senti che il trucco cominciava a colare.
“Io...ne
ho abbastanza. Vorrei tanto non essere stata investita! Perché sono
andata in mezzo alla strada?!”
“Chi
erano quei villani ragazzi?” chiese.
Il suo modo di parlare mi fece già
sentire meglio.
“Niente...solo...”
Volevo parlare. Anche di quella
cosa. Feci un gran respiro. E mi buttai.
“Due
anni fa, ebbi un'idea. Mi annoiavo di tutto. Così, un giorno, scesi
in città e comprai della droga. La consumai e la trovai
sensazionale. Cominciai a consumarne sempre di più. E anche a
spacciarne, in un villaggio vicino. Cominciai ad avere delle
allucinazione. Vedevo cose stranissime, immagini fisse che
cominciavano a muoversi, un giorno il cielo fu rosso, luci e altre
visioni che non esistevano. E un giorno...Justin Corbett, quel
ragazzo, mi vide. Andò dalla polizia a denunciarmi. E mi
arrestarono.
“Fui
condannata ad avere un braccialetto elettronico alla caviglia per sei
mesi. Ma il peggio fu quando mi fecero la visita medica.
“La
droga mi aveva mezzo spappolato il cervello. Anche quando non ero
sotto il suo effetto, avevo allucinazioni. Ed erano sempre più
terribile e realistiche, perché mi mancava qualcosa. Vedevo mostri,
diavoli, una volta vidi anche la morte. Era terribile. Il medico disse che
ero in uno stato disperato. E così, mi diede da prendere delle
medicine.
“Era
ancora peggio. Certo, non avevo più le visioni. Ma quelle pillole mi
mettevano sempre di pessimo umore. Ero suscettibile, e a volte non mi
rendevo neanche conto di quel che facevo. Non riuscivo a dormire di notte e così mi addormentavo sempre durante la giornata.
“Ovviamente,
qui ero guardata malissimo. La gente mormorava, tutti sapevano che mi
ero drogata e che avevo spacciato. A scuola era anche peggio. Tranne
le mie due migliori amiche, nessuno mi parlava, e se lo facevano era
per provocarmi. Idem con i professori.
“E
così, un giorno, ci fu quella lezione di storia. Il professore
sbatté la mano sul banco e mi disse: 'Sveglia Byrd, sei in classe o
nel tuo bel mondo immaginario?'
“La
classe intera scoppiò a ridere. E io non ci vidi più. Sollevai il
banco e lo feci cadere. Tirai un pugno al professore e cominciai a
tirargli calci, con sempre maggior furia. Alla fine, tre ragazzi mi
bloccarono e mi portarono in infermeria, dove mi somministrarono
altri calmanti.
“Il
professore sporse denuncia. Fui sospesa da scuola per tre settimane,
e condannata ad altri tre mesi di braccialetto elettronico per aggressione. E i miei
dovettero rimborsagli le spese mediche. Gli avevo rotto il naso e
incrinato due costole. E poi, con una cosa del genere alle spalle,
ovviamente non esitarono a bocciarmi. Non servì a nulla che i miei
spiegassero che le medicine che prendevo erano pesanti. Lo fecero e
basta. Ecco, questo è quello che è successo.”
Nathaniel mi fissava. Aveva uno
sguardo strano.
“Prendi
ancora quelle medicine?” chiese.
“No.
Ho smesso due mesi fa. Di mia volontà. Ancora una volta, mi stavano
uccidendo.”
Per una frazione di secondo, un
sorriso gli illuminò il volto. Ma poi, come era venuto, scomparve.
“Parlami
della tua famiglia.”
Obbedii. Non sapevo perché, ma mi
sembrava che Nathaniel fosse il perfetto confidente. Con lui mi
sembrava normale parlare di quelle cose che non confidavo a nessuno
e che gli altri sapevano solo perché erano dei ficcanaso.
“I
miei...beh, lavorano assieme. Si sono conosciuti perché dovevano
presentare un progetto all'estero insieme. Ebbero successo, e da
allora fecero coppia fissa al lavoro e nella vita. Poi sono nata
io...e sembrava che fosse tutto normale. Ma sei anni fa...beh, non so
cosa gli è preso. Avranno avuto una crisi ormonale, e sono nate le mie due sorelle.
Ho cominciato a detestarli. Io stavo benissimo quando ero figlia
unica, non puoi farmi una cosa del genere. E poi, guarda i nomi che
ci hanno dato. Giglio, Viola e Rosa. A mia madre piacciono i fiori.
Ma così ci ha fatto solo soffrire.”
Era come se mi fossi tolta un
peso. Era da anni che pensavo quelle cose, ma non le avevo mai dette
a nessuno. Neanche a Chris e Pearl.
“E
tu?” chiesi.
Nathaniel rimase silenzioso per un
attimo. Poi, cominciò a parlare.
“Mio
padre è un commerciante. Ha fatto fortuna con il mercato dei
tessuti, e ora vuole venire qui, costruire un'industria. Molte
persone potranno così avere un lavoro migliore.”
Che discorso strano, pensai.
Perché uno che lavorava nell'abbigliamento voleva venire qui? In
Cina sarebbe stato molto più conveniente. Ma non dissi niente.
Piuttosto ripensai al fatto che non avevo ancora visto i suoi.
“Non
sono ancora arrivati?” chiesi.
“No.”
Sembrava abbattuto. Notai che era
ancora più pallido del solito. Era dimagrito, e aveva profonde
occhiaie. Era come se non mangiasse da giorni.
“Se...se
hai bisogno di qualcosa puoi chiedermela...”
“Sto
bene.”
Si interruppe un attimo.
“Ieri
notte c'era un uomo in camera tua.”
Mi prese alla sprovvista.
“Come
lo sai?”
“L'ho
visto dalla finestra della mia camera.”
“Beh...era
solo il medico. Ho avuto un incidente, avantieri. Mi ha curato lui.”
“Oh...bene.”
Mi chiesi cosa avesse pensato.
“A
proposito...” cominciai timidamente. “Mi...mi dispiace per aver
rotto un gradino a casa tua...non l'ho fatto apposta...e poi, non
avrei dovuto entrarci mentre tu non c'eri...”
“Devo
andare” disse lui. “Ci vediamo.”
E se ne andò.
Rimasi lì, da sola. Lo osservai,
mentre si avviava sulla strada e spariva dietro la siepe incolta.
Perché se ne era andato così all'improvviso?
Mi accorsi di aver freddo. Stavo
tremando. Tornai a casa, zoppicando.