Un
anno fa, la mia amica A. mi trovò alla fermata dell’autobus un po’ prima del
solito, intenta ad ascoltare per la quinta o sesta volta di seguito ‘Love is
forever’ dei Muse, e con il cellulare in mano, a rispondere a quell’sms che mi
era arrivato quella mattina. Subito mi chiese: “Allora com’è andata???” E io
ancora con l’aria sognante, le raccontai.
Il
giorno primo eravamo andati al cinema a vedere Frankenwinnie di Tim Burton. Per
la verità il film all’inizio doveva essere Lincoln, poi però avevo visto che
c’era Frankenwinnie e dato che a lui piaceva Tim Burton avevo cambiato
programma. Ripensandoci a posteriori ho fatto benissimo, perché Lincoln è un
film verboso e piuttosto noiosetto. Frankenwinnie, invece, tutt’altro. Nella
sala c’erano poche persone, una decina al massimo. Il film era proseguito
tranquillo, finché ad un certo punto appariva un pesce rosso morto. Guarda caso
la settimana prima era morto Alpha, il mio pesciolino, e così io avevo detto: “Oooh
il mio pesce!” Lui allora aveva detto: “Oh, no!” e mi aveva preso la mano.
Eravamo rimasti per tutto il film così, mano nella mano. Di tanto in tanto il
pollice di lui me ne accarezzava il dorso. Mi sentivo emozionata, come se
sentissi che qualcosa stava per accadere. Elettrica. Poi, il film era finito.
E, sui titoli di coda, era cominciata questa canzone:
“Love...Love
is strange...”
A
quel punto io avevo appoggiato la testa contro la sua spalla...lui si era
girato e mia aveva baciato la fronte...io gli avevo baciato il collo...lui la
mia guancia...e poi, d’un tratto lui aveva chiesto: “Che c’è?”, io avevo
pensato ‘Ma cosa diamine sto facendo??’, e in quel momento la luce si era
riaccesa nel cinema, illuminando le nostra facce vicinissime ed arrossate. Ci
eravamo messi a ridere. Ridere di gusto, come due pazzi, fregandocene di quel
che poteva pensare la gente lì accanto. Raramente ho riso come quella volta.
Eravamo usciti dal cinema e poi lui aveva preso l’autobus con me per
accompagnarmi lì dove mi aspettava mio padre. Dentro l’autobus, ci tenevamo per
mano, ci accarezzavamo i dorsi delle mani e le nostre teste erano appoggiate le
une alle altre. L’atmosfera era elettrica, una di quelle situazioni che vivi
attimo per attimo, in cui non esiste passato o futuro, ma solo presente. Avevo
le farfalle nello stomaco. Eppure, nessuno si decideva a fare il passo
successivo, ma ci accontentavamo di quello. Quella sera ero tornata a casa con
l’impressione di camminare su una nuvola e per poco non avevo dormito. Per la
verità, ebbi per una settimana intera il senso della fame e del sonno sballati.
Tutto
questo lo raccontai ad A. sull’autobus, e intanto rispondevo agli sms che mi
arrivavano. A. era tutta contenta, ma io ancora non ero sicura, insomma, non
c’eravamo baciati, chi me lo diceva che davvero anche io piacevo a lui? A
scuola, lui era in ritardo come al solito. Lo aspettai nel corridoio. Poi, ci
dissero che la prof. di italiano si era assentata all’ultimo momento. Mai ho
amato tanto quella donna. Sgusciai al pian terreno e aspettai che lui uscisse
dalla presidenza, dove si era fatto ammettere. Ci salutammo. Ci appoggiammo al
muro, tenendoci di nuovo per mano, e chiacchierammo del film. Però di nuovo
c’era quell’atmosfera elettrica, quella sensazione che qualcosa di imminente
stesse per accadere. Peccato che proprio in quel momento tante persone della
mia classe stessero uscendo in cortile a fumare. Tutti ci fissavano con un
sorrisetto per noi imbarazzante. Allora io dissi: “Ti va se andiamo nel
corridoio della biblioteca? Lì ci sarà meno gente.” Ci andammo. Ci sedemmo
sulle sedie rosse e sgangherate di quel corridoio, il più squallido della
scuola e magari anche della città. Almeno lì non c’era nessuno. Eravamo
esattamente come la sera prima, seduti, mano nella mano. Chiacchierammo ancora
del film. Guardai l’ora al cellulare. Erano le 9:01. Timidamente, dissi: “Beh,
a me mi è piaciuto anche il resto...” Silenzio. Come la sera prima, lui mi baciò
sulla fronte...poi io lo bacia sul collo...e poi...beh...
Dieci
minuti esatti dopo, salimmo le scale che portavano al corridoio delle nostre
aule. Incrociammo il mio compagno di classe psicopatico, che ci sorrise in modo
inquietante. Arrivammo davanti alla sua porta, che era chiusa, ovviamente. Ci
salutammo. Prima che lui entrasse lo abbracciai e, per la prima volta nella mia
vita, gli dissi: “F. ti amo.” Lui rispose: “Anche io” e poi entrò in classe. La
professoressa gli disse: “Complimenti per il ritardo”, ma lui pensò ‘Il miglior
ritardo della mia vita’. Io entrai nella mia classe dove regnava il caos
totale, dove ciò che mi fu detto appena fui vista fu: “Ko, ma stai bene?
Sei...rossa!” Mi guardai la pelle che usciva dallo scollo del maglione e notai
che ero letteralmente rossa dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. A.
disse che avrebbe sparso fiori di ciliegio sul nostro passaggio, mia zia che
sembrava una scena del Tempo delle Mele e mia sorella che finalmente, era ora!
Tutto
questo un anno fa, esattamente. Che strano. Mi sembra che sia passato così
velocemente...
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