mercoledì 5 febbraio 2014

Un anno...

Un anno fa, la mia amica A. mi trovò alla fermata dell’autobus un po’ prima del solito, intenta ad ascoltare per la quinta o sesta volta di seguito ‘Love is forever’ dei Muse, e con il cellulare in mano, a rispondere a quell’sms che mi era arrivato quella mattina. Subito mi chiese: “Allora com’è andata???” E io ancora con l’aria sognante, le raccontai.

Il giorno primo eravamo andati al cinema a vedere Frankenwinnie di Tim Burton. Per la verità il film all’inizio doveva essere Lincoln, poi però avevo visto che c’era Frankenwinnie e dato che a lui piaceva Tim Burton avevo cambiato programma. Ripensandoci a posteriori ho fatto benissimo, perché Lincoln è un film verboso e piuttosto noiosetto. Frankenwinnie, invece, tutt’altro. Nella sala c’erano poche persone, una decina al massimo. Il film era proseguito tranquillo, finché ad un certo punto appariva un pesce rosso morto. Guarda caso la settimana prima era morto Alpha, il mio pesciolino, e così io avevo detto: “Oooh il mio pesce!” Lui allora aveva detto: “Oh, no!” e mi aveva preso la mano. Eravamo rimasti per tutto il film così, mano nella mano. Di tanto in tanto il pollice di lui me ne accarezzava il dorso. Mi sentivo emozionata, come se sentissi che qualcosa stava per accadere. Elettrica. Poi, il film era finito. E, sui titoli di coda, era cominciata questa canzone:


“Love...Love is strange...”
A quel punto io avevo appoggiato la testa contro la sua spalla...lui si era girato e mia aveva baciato la fronte...io gli avevo baciato il collo...lui la mia guancia...e poi, d’un tratto lui aveva chiesto: “Che c’è?”, io avevo pensato ‘Ma cosa diamine sto facendo??’, e in quel momento la luce si era riaccesa nel cinema, illuminando le nostra facce vicinissime ed arrossate. Ci eravamo messi a ridere. Ridere di gusto, come due pazzi, fregandocene di quel che poteva pensare la gente lì accanto. Raramente ho riso come quella volta. Eravamo usciti dal cinema e poi lui aveva preso l’autobus con me per accompagnarmi lì dove mi aspettava mio padre. Dentro l’autobus, ci tenevamo per mano, ci accarezzavamo i dorsi delle mani e le nostre teste erano appoggiate le une alle altre. L’atmosfera era elettrica, una di quelle situazioni che vivi attimo per attimo, in cui non esiste passato o futuro, ma solo presente. Avevo le farfalle nello stomaco. Eppure, nessuno si decideva a fare il passo successivo, ma ci accontentavamo di quello. Quella sera ero tornata a casa con l’impressione di camminare su una nuvola e per poco non avevo dormito. Per la verità, ebbi per una settimana intera il senso della fame e del sonno sballati.

Tutto questo lo raccontai ad A. sull’autobus, e intanto rispondevo agli sms che mi arrivavano. A. era tutta contenta, ma io ancora non ero sicura, insomma, non c’eravamo baciati, chi me lo diceva che davvero anche io piacevo a lui? A scuola, lui era in ritardo come al solito. Lo aspettai nel corridoio. Poi, ci dissero che la prof. di italiano si era assentata all’ultimo momento. Mai ho amato tanto quella donna. Sgusciai al pian terreno e aspettai che lui uscisse dalla presidenza, dove si era fatto ammettere. Ci salutammo. Ci appoggiammo al muro, tenendoci di nuovo per mano, e chiacchierammo del film. Però di nuovo c’era quell’atmosfera elettrica, quella sensazione che qualcosa di imminente stesse per accadere. Peccato che proprio in quel momento tante persone della mia classe stessero uscendo in cortile a fumare. Tutti ci fissavano con un sorrisetto per noi imbarazzante. Allora io dissi: “Ti va se andiamo nel corridoio della biblioteca? Lì ci sarà meno gente.” Ci andammo. Ci sedemmo sulle sedie rosse e sgangherate di quel corridoio, il più squallido della scuola e magari anche della città. Almeno lì non c’era nessuno. Eravamo esattamente come la sera prima, seduti, mano nella mano. Chiacchierammo ancora del film. Guardai l’ora al cellulare. Erano le 9:01. Timidamente, dissi: “Beh, a me mi è piaciuto anche il resto...” Silenzio. Come la sera prima, lui mi baciò sulla fronte...poi io lo bacia sul collo...e poi...beh...

Dieci minuti esatti dopo, salimmo le scale che portavano al corridoio delle nostre aule. Incrociammo il mio compagno di classe psicopatico, che ci sorrise in modo inquietante. Arrivammo davanti alla sua porta, che era chiusa, ovviamente. Ci salutammo. Prima che lui entrasse lo abbracciai e, per la prima volta nella mia vita, gli dissi: “F. ti amo.” Lui rispose: “Anche io” e poi entrò in classe. La professoressa gli disse: “Complimenti per il ritardo”, ma lui pensò ‘Il miglior ritardo della mia vita’. Io entrai nella mia classe dove regnava il caos totale, dove ciò che mi fu detto appena fui vista fu: “Ko, ma stai bene? Sei...rossa!” Mi guardai la pelle che usciva dallo scollo del maglione e notai che ero letteralmente rossa dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. A. disse che avrebbe sparso fiori di ciliegio sul nostro passaggio, mia zia che sembrava una scena del Tempo delle Mele e mia sorella che finalmente, era ora!

Tutto questo un anno fa, esattamente. Che strano. Mi sembra che sia passato così velocemente...
         


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