mercoledì 8 agosto 2012

20 Whisper street- ep.4

“Non la voglio la minestra, mi fa schifo!”
“Ma ti fa bene, non lo sai che tutti i più grandi del baseball compreso Joe Di Maggio mangiavano la minestra da piccoli?”
“Ebbene io sarò la prima star del baseball a non aver mangiato la minestra!”
Violet mi fece una linguaccia e se ne andò in camera sua, seguita a ruota da Rose. 
Sbuffai. Neanche a me piaceva la minestra, ma ora mi stavo sacrificando. Presi due piatti e li riempii. Poi presi dalla tasca dei pantaloni la boccetta di passiflora. Allora...Chris aveva detto venticinque gocce per i bambini. Mmm...
Pochi minuti dopo, misi davanti alle mie sorelline la loro minestra condita da cinquanta gocce di passiflora. Non la mangiarono volentieri, e, quando dissi a Violet: “Sei una peste”, lei mi rispose con:
“E tu sei un maiale, un cucchiaio, un asino, una mela, una strega...” eccetera, eccetera, eccetera. Ormai ero abituata a farmi trattare di tutte le specie viventi, non viventi o inventate, ma questa vota i miei non c'erano.
“Mangia, cazzo!”
Violet si zittì. Rose disse solo un timido: “Non si dicono le parolacce.” Il resto della cena la passammo in silenzio.
In seguito le misi un dvd di Scooby Doo, e mezzora dopo dormivano davvero come dei sassi. Le portai nei loro letti, mi vestii, mi truccai e misi il mio giubbotto in pelle nera per coprirmi. Chiusi a chiave la casa e mi avviai verso il domicilio di Ticknor. 
Nonostante le nuvole, faceva ancora abbastanza chiaro. Almeno vedevo dove mettere i piedi. 
Dopo dieci minuti, arrivai alla casa. Caspita! Io non sarei mai riuscita a pagarmi una casa del genere. 
I Ticknor erano la famiglia più ricca di Ghostly Village. Erano entrambi avvocati di successo, ed erano felicissimi di poterlo ostentare. Avevano una casa enorme con piscina, e una macchina di quelle che vedi solo in t.v quando parlano dei miliardari americani. E un figlio nerd e viziato. Che questa volta aveva avuto la strana idea di organizzare una festa. 
Fuori dalla casa c'erano segni che facevano ben vedere che lì dentro qualcosa stava succedendo. Prima di tutto, la musica a palla. Tesi l'orecchio. Eminem. Che schifo. Davvero non appropriato. E poi, c'erano Pearl e Chris. 
“Dalla faccia che fai si vede che non ti piace per niente” disse calma quest'ultima. “E hai ragione. Ma quelli là non vogliono capire che Eminem come musica a una festa non è il massimo.”
Le raggiunsi.
“Che altro c'è lì dentro?”
“Tutti i ragazzi del nostro spettrale villaggio” rispose Pearl. “Ma secondo me tra poco arrivano gli imbucati dei paesi vicini. Le tue sorelline?”
“Sono in coma profondo.”
Ridemmo insieme ed entrammo. 
In effetti, c'erano tutti i ragazzi del villaggio. Ma per quella grande casa quello non era un problema. Le luci erano soffuse, e ad alcune lampadine era stata appiccicata della carta colorata di verde, blu o rosa. Dappertutto, ragazzi e ragazze che ballavano o parlavano. La musica proveniva da un impianto stereo collegato a un computer.
“Però, ha fatto una cosa carina, Ticknor” commentai. 
Il principale interessato si materializzò proprio in quel momento accanto a me. 
“Ci ho messo tre giorni senza dormire, Byrd, e se tu dici che non è male allora sono stato proprio bravo.”
Non c'era niente da fare. Anche in mezzo a tutto quel casino di corpi, musica e bicchieri, George Ticknor era un nerd: capelli corti scuri messi di lato con una frangetta e occhialoni cerchiati. Reggeva un vassoio con tre bicchieri contenenti un liquido rosa. 
“Però, non mi aspettavo di vedere voi tre asociali qui! Se volete, il buffet è dritto davanti a voi. Questi” e indicò i bicchieri. “Sono per i miei amici.” E se ne andò.
“Per i suoi leccapiedi, vuole dire” disse Chris. Tutti sapevano che i tre che seguivano ovunque Ticknor lo facevano solo per i suoi soldi.
“Io propongo una cosa” fece Pearl. “Lo ubriachiamo, lo buttiamo nella piscina, lo facciamo affogare e diciamo che non ce ne siamo accorte.”
“Buona idea” le risposi. 
Andammo al buffet, dove prendemmo una manciata di patatine e una lattina di birra ciascuna.
“Qui c'è gente di più di ventun anni” disse guardandosi intorno Pearl. “Avranno portato loro l'alcool.”
Ci spostammo nel giardino, dove vedemmo la famosa enorme piscina dei Ticknor. C'era gente che, nonostante il freddo (non mi ero neanche tolta il giubbotto), sguazzava con un cocktail alla mano nell'acqua. Si dovevano essere portati il costume da bagno dietro. 
“Però, guarda chi si vede! Lily Byrd e company! Sei venuta a spacciare, Byrd?”
La voce veniva da dietro le nostre spalle. Ed era la voce che più detestavo al mondo. Mi girai e vidi il suo proprietario: Justin Corbett. Teneva in mano un tramezzino e una bottiglia di coca cola. 
“Beh, no Corbett, visto che ho smesso per colpa tua.”
“Si, ma sai come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio. E poi...” si avvicinò a me con fare teatrale. “Sai, mi hanno detto che avresti visto un camion che poi è scomparso nel nulla...cos'è non spacci ma consumi tu?”
Mi guardai attorno, allarmata. Oh, cavolo! C'era Brice Lingualunga, la figlia dei vicini. Suo obbiettivo nella vita era quello di ascoltare il maggior numero di informazioni private e riferirle al mondo intero. Mi doveva aver sentito mentre parlavo con Violet. Tentai di controllarmi. 
“Si, ho visto un camion...che poi ti schiacciava come un salame sulla strada. Chissà, Corbett, magari ora ho doni profetici.”
“Ahahahaha! Ma quanto sei divertente, Byrd! Ci vediamo.” E se ne andò.
Lo guardai allontanarsi.
“Brutto scemo.”
Passammo il tempo bevendo la nostra birra. Quella festa faceva davvero schifo. Nessuno osava parlare con noi, le emarginate, e a noi di questo non ce ne fregava niente. Avremmo potuto ballare, ma la musica non era molto appropriata, per i nostri gusti. Rimanemmo lì, poi, a fumare, guardando la gente che si buttava nella piscina. Ad un certo punto un ragazzo che proveniva da un villaggio vicino e che non aveva costume da bagno, si spogliò rimanendo in mutande e si tuffò. Noi lo osservammo divertite. Era davvero un bel tipo. 
Quando d'un tratto 50 Cent si mise a cantare, Chris ne ebbe abbastanza.
“Aspettatemi” disse. 
Si diresse verso il computer, prese il suo mp3 dalla tasca del giubbotto, lo collegò e aprì i file. Poi, spense la musica. 
“Adesso vi faccio ascoltare della vera musica per ballare” urlò contro le voci di protesta. 
E subito si sentì una chitarra elettrica andare a tutto volume e poi una voce maschile cantare in una lingua strana, che io e Pearl riconoscemmo come giapponese. 
“Ora la buttano fuori” disse Pearl. 
“Si, ma intanto mi concede questo ballo, signorina?” le chiesi prendendole le mani. Chris ci raggiunse e insieme cominciammo a ballare in cerchio. Gli altri protestavano, e d'un tratto arrivò George Ticknor infuriato, che ci chiese quasi urlando: “Che cosa diavolo è questa roba???”
Chris smise di ballare e disse, calma: “Musica giapponese, George. È la sigla di un anime che si chiama D-Gray Man. Almeno si può ballare, non come quella roba che c'era prima.”
“Ah si? Ebbene a me e a tutti gli altri non piace, quindi togli quell'mp3 e rimetti la musica di prima, capito?”
“Oh, va bene, non pensavo che fossi così suscettibile, Joe!”
Ridendo, ci avviammo tutte e tre a togliere l'mp3 di Chris e a rimettere la musica rap.
Dopo altri dieci minuti, però, Pearl propose di andarcene e così facemmo. Eravamo soddisfatte del casino che avevamo fatto. 
Mentre eravamo alla festa, le tenebre erano scese su Ghostly Village. La strada non era illuminata, perché i lampioni non funzionavano bene. Le nuvole rendevano ancora più cupo il villaggio, impedendo alle stelle e alla luna di spandere il loro fioco chiarore sul mondo. 
Ci lasciammo davanti a casa Ticknor. Io mi misi il cappuccio del giubbotto e camminai brevemente sul bordo del marciapiede, usando le braccia per mantenere l'equilibrio. Decisi di non tornare subito a casa. Dopotutto, avevo il via libera, no? Nessuno lo avrebbe mai saputo.
Il villaggio era piccolo, avrei potuto farne il giro. Decisi di fare così. Conoscevo Ghostly Village palmo a palmo, sapevo quale strada fare in seguito per tornare a casa. Cominciai così il mio giro, camminando lentamente. E poi...gradualmente, insinuandosi prima segretamente e poi via via sempre più profondamente nell'animo, sentii la strana sensazione di essere seguita. Cominciai ad avere paura. Mi voltai di scatto. Nessuno. Faceva freddo, sentivo la temperatura scendere poco a poco. 
'Ma che cavolo sta succedendo?' pensai. La notte sembrava ancora più nera. Guardai l'orologio. Erano appena le dieci.
Mi rigirai e cominciai di nuovo a camminare, questa volta più svelta. Sentivo l'ansia crescere nel petto, quella sensazione di essere seguita era mista a paura e insicurezza. Mi infilai una mano nella tasca dei jeans e afferrai la chiave di casa. La tenni stretta, con la parte che si infila nella serratura pronta a scattare verso l'occhio di un eventuale aggressore. Volevo tornare a casa, e il più presto possibile. Ogni minimo rumore mi sembrava sinistro. E faceva così freddo... 
Girai nella strada dove le case cominciavano ad avere dei grandi giardini come il mio. Ci mancava poco, ero quasi a casa...ma perché mano a mano che avanzavo faceva sempre più freddo?
Poi, d'un tratto, vidi una figura ferma dall'altro lato del marciapiede. Mi avvicinavo, camminando. Poco a poco, lo distinsi. 
Era un ragazzo alto e magrissimo, il viso era smunto. Aveva i capelli lunghissimi, lisci e biondi, che sembravano risplendere nonostante l'assenza di luce. Anzi, a dir la verità...tutta la sua figura sembrava mandare un qualche bagliore. Ma pensai che magari fosse solo per il colore dei suoi vestiti, di un bianco candido. Avevano uno strano taglio. Una lunga camicia a maniche lunghe e un pantalone molto largo, non fatto di jeans ma un tessuto finemente lavorato. 
Quando fui abbastanza vicina, lui si voltò verso di me. Aveva gli occhi chiarissimi. La sua era una bellezza d'altri tempi, di quelle che vedi solo in certe rappresentazioni di creature fantastiche come gli elfi. Mi fermai, sostenendo il suo sguardo. 
“Buona sera” disse alla fine. “Sapresti dirmi se questa è Whisper Street?”
Cavolo. La mia via.
“No” risposi. “Ma se vuoi posso guidarti io. Ci abito, in Whisper Street.”
“Oh! Che deliziosa coincidenza!” 
Ci rimasi di sasso. Deliziosa? Che razza di linguaggio era? 
Cominciò a seguirmi.
“Tu non sei di queste parti” affermai.
“No, infatti. Vengo da un paese piuttosto lontano, mi sono appena trasferito.”
“A Ghostly Village? Sei proprio strano.”
“Perché?”
Sembrava sorpreso che gli avessi detto quello. 
“Beh...perché qui non si trasferisce mai nessuno.”
Continuammo a camminare. Dopo un po' riattaccò bottone.
“Io sono Nathaniel” disse.
Nathaniel. Che nome vecchio, pensai. Però mi piaceva.
“Lily” risposi semplicemente.
“Davvero? Che strano nome.”
“Perché il tuo non è strano, forse?”
“No, è molto comune...almeno dalle mie parti.”
Risi. Dalle mie parti, sempre dalle mie parti.
Eravamo arrivati in Whisper street. Chissà in quale casa abitava, quello strano ragazzo. Alla fine, ci ritrovammo davanti alla mia. 
“Beh...io sono arrivata. Io abito qui.” 
“Ah. Potresti dirmi, per favore, qual'è il suo numero?”
“Diciotto” risposi.
“Ottimo! Allora quella è la mia casa” e indicò la spettrale abitazione accanto. 
Mi accorsi che faceva ancora più freddo, e che sembrava che la casa stessa emanasse quel gelo. Eppure, era proprio lì che abitava Nathaniel. Ma dai! Non avevo visto un camion dei traslochi proprio tre giorni prima? Non era stata un'allucinazione, era tutto vero! 
“È un po' in rovina” commentai comunque. 
“Aspetterò i miei genitori per rimetterla in sesto. Dovrebbero arrivare tra pochi giorni.”
Mentre si dirigeva verso la casa, io fui assalita da un improvviso attacco di distrazione. Avevo appena notato le ombre sulla porta, e mi stavo chiedendo, se ci fosse stata la luna, come sarebbero state. 
“Ciao, e buonanotte, Lily.”
Risvegliata dalle mie fantasticherie, girai la testa di scatto e dissi: “Ciao, Natha...” 
Ma non c'era nessuno. Era scomparso, nella notte. E proprio in quel momento la luna riapparve, e il freddo scomparve come risucchiato dalla casa. Rabbrividii, inconsciamente. 
Quando entrai, la prima cosa che sentii fu il russare di Violet e Rose insieme. Mi accorsi di essere stanchissima. Andai in camera, mi tolsi il giubbotto, e mi buttai sul letto. Mi addormentai all'istante, subito preda di quelle immagini confuse che ormai mi assalivano ogni notte.

4 commenti:

  1. mi piace tutto quello che scriviiiii!

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    1. Grazie ancora!! Non vedevo l'ora di pubblicare questo episodio, devo ammetterlo....è uno di quelli che mi è piaciuto di più scrivere!!! :DD

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  2. Ciao, bellissimo...però che fatica adesso aspettare il prossimo! Un abbraccio.
    Antonella

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  3. Ciao, grazie!!! Dai, mancano solo tre giorni!! :D

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