lunedì 27 agosto 2012

20 Whisper street-ep.7


Il pomeriggio successivo, uscii fuori. C'era un tempo...strano. Tutto era fermo, irreale. Non si sentiva un rumore, anche gli uccelli avevano smesso di cantare. Tutto attorno c'era nebbia, la luce era fredda. Guardai l'orologio. Erano le tre e mezza del pomeriggio. L'albicocco era una spettrale figura che mi ricordava alcuni disegni che avevo visto in un libro di favole per bambini con streghe e orchi. E poi, di nuovo quella sensazione...quel presentimento che stesse per succedere qualcosa di veramente terribile. L'aria stessa ne era impregnata.
Guardai il numero 20. Era buio e silenzioso, come al solito. Con quella luce, e quell'atmosfera, sembrava ancora di più la dimora degli spettri. Chissà se Nathaniel era in casa...Violet e Rose stavano dormendo, mi sarei allontanata al massimo una decina di minuti...
Uscii dal vialetto e andai verso la casa, davanti alla quale mi fermai. Dopo quasi una settimana, non avevano sistemato niente. Le tegole andate via, alcuni vetri erano rotti...forse Nathaniel aspettava che arrivassero i suoi?
Quando arrivai alla porta, mi resi conto che non mi ero mai avvicinata così tanto a quella casa. D'un tratto, tutte le dicerie su quel luogo mi tornarono in mente, tutte insieme. Che era disabitata da due secoli...che i proprietari erano morti in modo strano...che i loro spiriti erano ancora in quella casa...ma no, che cavolo! Ora in quella casa c'era Nathaniel, e nessuno si era accorto di lui solo perché era timido e preferiva uscire di notte. Almeno, era ciò che io avevo ipotizzato.
Alla fine, bussai alla porta lignea. Si aprì all'istante, da sola, cigolando. Sbirciai dentro. Tutto buio. Sembrava che fosse vuota.
C'è nessuno?” chiesi comunque.
Non una voce.
Nathaniel, sei qui?”
Ancora nessuna risposta.
Quella casa mi attirava. La porta era aperta, no? Magari, Nathaniel c'era ma non mi aveva sentito. Entrai, e la porta cigolò ancora. Appena la mollai, si richiuse di scatto.
'Oh, cazzo' pensai velocemente. Mi sentivo come in trappola. Non volevo ammetterlo, ma avevo paura. Non dovevo avere paura!!! Non era una casa di fantasmi, quelle erano tutte scemenze!
Ma quel buio denso e palpabile, quel silenzio...mi vennero i brividi.
Attorno a me, c'era un salotto. Quando i miei occhi si abituarono a quell'oscurità, vidi strati di polvere su mobili vecchi e mezzo rotti. Sembrava che in quella casa non ci fosse entrato nessuno da tantissimi decenni. Eppure lì c'era Nathaniel. L'avevo visto entrare. Lui abitava lì.
Nathaniel!!” chiamai. Ma, ancora una volta, nessuno mi rispose.
Avanzai urtando oggetti non identificabili. Era davvero grande, quel salotto. Individuai un tappeto e un divano, completamente muffiti e tarmati. Le assi di legno del pavimento scricchiolavano. D'un tratto, vidi una scala. Forse Nathaniel era al piano di sopra e non mi aveva sentito per questo. Salii le scale. Scricchiolavano ancor più del pavimento. La sensazione che stesse per succedere qualcosa cresceva sempre più nel mio petto, non stavo bene, avevo paura.
Quando arrivai, trovai alla mia sinistra un corridoio sul quale si affacciavano tre porte. Alla mia destra, tre grandi finestre. Davano sul giardino. Visto da lì su, sembrava ancora più incolto.
Osservai le tre porte. Moltissimi anni prima, dovevano essere state bellissime. Me le immaginai di legno chiaro, magari intonate a quello che doveva essere stato il colore del corrimano della scala. Ma ora erano marce, e in quell'atmosfera grigia e spettrale sembrava che le stanze dietro a quelle porte racchiudessero chissà quali orrori...no, pensai di nuovo, decisa. Certo, quella casa sembrava disabitata, con tutta quella polvere e quella desolazione. Certo che i genitori di Nathaniel dovevano essere davvero ricchi, se volevano ristrutturare una catapecchia del genere. Non gli avevo mai chiesto che lavoro facevano.
Salii sul pianerottolo. La porta che più mi attirava era quella centrale. Andai lì. Bussai piano, temendo di sfondare il legno. Nessuna risposta. Magari lui non c'era. Ma la porta, d'un tratto, si aprì cigolando. Oltre, c'era una stanza abbastanza grande, ma ancora più oscura rispetto al resto della casa. I vetri della finestra se non rotti, erano coperti di ragnatele. Entrai e mi guardai intorno. C'era un vecchio letto, molto grande, a baldacchino. Le cortine dovevano essere state bellissime, di tessuto pregiato. Ora, erano muffite. Di fronte al letto, c'era un grande armadio di legno. Avanzai, quasi a tentoni. D'un tratto, la mia mano si posò su qualcosa di duro. Guardai in basso. Era una grande cassa. E, vicino, ce n'era un altra. Erano di legno massiccio e scuro, e mi ricordavano quelle che, un tempo, erano usate per traslocare.
'Ecco la conferma che il camion era vero e non un'allucinazione' pensai. Ma allora...perché le casse erano coperte da uno spesso strato di polvere come se fossero state messe lì molto tempo prima e non da pochi giorni?
Le mie dita toccarono, sotto la polvere, quella che sembrava carta. L'afferrai. Con un soffio, sollevai la polvere che c'era sopra. Nell'oscurità, riuscii a distinguere una figura umana...una foto? La carta sembrava molto fragile. Sollevai la testa e guardai oltre la finestra. Si vedeva la mia casa. Quello era il lato del numero 20 che dava sulla mia casa! E fissavo proprio la finestra della mia camera! Ma allora...quella testa che avevo visto la settimana prima...
Oddio! Era stato in quella stanza! D'un tratto, ebbi paura, ma una paura molto più forte rispetto a quella che avevo provato prima. Mi si attorcigliavano le viscere. E quando una folata di vento gelido invase la stanza, facendomi tremare, urlai e mi girai per correre. La temperatura nella camera era scesa in pochi secondi. Le assi delle scale scricchiolavano sinistramente sotto i miei piedi e io avevo il cuore che batteva a mille, e pensavo che da un momento all'altro sarebbero arrivati i fantasmi a rapirmi, ad uccidermi, a farmi diventare una di loro. Un gradino della scala non resse il mio peso e si ruppe, esalando odore di marcio. Gridai ancora più forte, mentre il mio piede affondava. Lo tolsi dal buco e saltai sul pavimento del piano di sotto. Oddio, oddio!
Andai alla porta e la spinsi. Non si aprì. Presi la maniglia, ma non riuscii comunque ad uscire. E intanto il gelo si faceva sempre più penetrante nelle mie ossa...
Fammi uscire!” gridai disperata, e diedi un calcio alla porta, che finalmente si aprì. Balzai fuori e corsi in mezzo alla strada. Non mi accorsi nemmeno dello stridio vicino a me. Solo qualcosa che mi urtava, il dolore alla gamba e poi al braccio quando caddi. E poi, più niente.

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