venerdì 17 agosto 2012

20 Whisper street - ep.5

Il giorno dopo, fui svegliata dall'abbaiare di un cane alle sette. Scocciata, mi alzai, aprii la finestra e urlai: “Vuoi stare zitto!”
Il cane la smise e mi guardò. Era nero, il pelo medio e duro era irto. Stava davanti al numero 20, contro il quale stava abbaiando poco prima. Mentre ci osservavamo a vicenda, ebbi una strana sensazione. Era come se quel cane fosse...strano. Come se...tra me e lui ci fosse un vetro invisibile. Si voltò di nuovo verso la casa. Chiusi gli occhi e li riaprii, incapace chissà per quale ragione di guardarlo ancora. E il cane era sparito. Non ce n'era più nessuna traccia.
'Oggesù!' pensai. Per la terza volta in meno di una settimana, qualcosa che avevo viso era scomparso improvvisamente. Non era normale. O non ero normale io? Basta. La dovevo smettere!
Dato che non riuscivo più ad addormentarmi, accesi il computer e passai il tempo a navigare su internet. Scaricai tre canzoni degli Iron Maiden che non avevo. Alle dieci sentii Violet e Rose che si svegliavano nella loro stanza. Spensi il computer e scesi in cucina a preparare la colazione. Le bambine tardavano ad arrivare. Alle dieci e mezzo, il campanello squillò. Erano Chris e Pearl.
“Salve, compagna di casini!” mi salutarono strizzandomi l'occhio.
“Ciao.” Stavo ripensando a quel cane nero.
“Qualcosa non va?” mi chiese Pearl preoccupata.
“No, tutto bene” mentii.
Proprio in quel momento, le mie sorelline scesero in cucina. Erano ancora in pigiama.
“Passato una buona nottata?” chiesi loro in tono ironico mentre gli mettevo davanti un panino al burro di arachidi.
“Ho male agli occhi!” si lamentò Violet.
“Certo, certo...”
“È vero!”
Chris osservava la scena, incuriosita. Quando le bambine ebbero finito di fare colazione ed andarono a lavarsi la faccia, mi fermò.
“Quanta passiflora le hai messo ieri?”
“Cinquanta gocce. Perché?”
“Perché se assunta i dose massiccia la passiflora può provocare dei disturbi alla vista per qualche ora. Insomma, ti sei condannata da sola a rimanere in casa per una mattinata intera.”
“Oh...beh...capita.” 
Dovevo stare calma per non sbattermi la testa contro il muro per punizione. Ma che mi era saltato in mente, il giorno prima? Volevo starmene tranquilla. Ecco tutto. E adesso ne pagavo le conseguenze.
“Dai, passa abbastanza in fretta...” tentò di rassicurarmi Chris. “Magari chiediamo ai nostri se oggi possiamo rimanere con te...che te pare, Pearl?”
“Si, perché no!”
Chiamarono i loro genitori, che però dissero loro che non potevano restare a pranzo. Normale. Con la reputazione che avevo, era normale che allontanassero le loro figlie da me per quanto fosse loro possibile.
Violet e Rose continuarono a lamentarsi per tutta la mattinata di avere male agli occhi e capogiro. Per non averle troppo tra i piedi, dissi loro che la medicina era andare a letto, al buio, e rimanere con gli occhi chiusi per tre ore. Loro obbedirono, anche se Violet continuò a fare la lamentosa tutto il tempo.
“Sapete, c'è un tipo che abita al numero 20” dissi alle mie amiche mentre stavamo fumando in cucina. 
“Davvero?? E da quanto?”
“Da ieri. L'ho incontrato mentre tornavo qui dopo la festa di Ticknor. È un ragazzo stranissimo, deve avere la nostra età. I suoi verranno tra poco.”
“Vuoi dire che questo tipo è venuto ad abitare nella sua nuova casa in piena notte? Non è un po' strano?” chiese Chris.
“Si...non so.” Ora che ripensavo al mio incontro della notte precedente con Nathaniel, tutto mi sembrava come un sogno o una visione. Non ero più sicura se quello che stavo dicendo era vero o no.
“Lasciate perdere...”
Pearl e Chris se ne andarono, e io rimasi sola con Violet e Rose. Le dissi che ora erano guarite, e infatti non avevano più disturbi agli occhi, per fortuna. Passai il resto del pomeriggio a giocare con loro, e solo dopo cena riuscii ad avere un momento per me, quando misi 'Mamma mia' per l'ennesima volta. Già prima del film detestavo gli Abba, ora che Violet e Rose lo adoravano e lo volevano guardare ogni tre giorni quegli svedesi vestiti quasi come Lady Gaga erano per me insopportabili. Andai in camera mia e in risposta agli Abba ascoltai un disco di Rob Zombie. Quando ne ebbi abbastanza di starmene sdraiata a letto, mi alzai e andai a sedermi alla scrivania. Che fare? Quella sera mi stavo annoiando da morire. Alla fine, tanto per tenere almeno le mani occupate, presi dal doppiofondo segreto del cassetto della scrivania (lo avevo costruito io stessa con le istruzioni che avevo trovato su Internet) presi dunque l'occorrente per rollarmi una sigaretta: tabacco, cartina e filtro. Lo utilizzavo solo nei casi in cui proprio non sapevo che fare. Ci misi più o meno dieci minuti, non avevo molto la mano per quel genere di cose. Quando l'accesi, aprii la finestra per far uscire il fumo. La notte era calma. La luna illuminava Whisper street, spettrale come al solito. D'un tratto, individuai un altro punto di luce. Oh! Nathaniel. Stava nel suo giardino, in piedi, e guardava la strada, come se aspettasse qualcuno. E io...sentii una strana sensazione. Era come se una forza misteriosa volesse spingermi a raggiungerlo. E io mi lasciai trascinare da quella forza, quasi senza accorgermene. Presi il giubbotto e me lo infilai uscendo di casa. Le bambine erano così impegnate a vedere l'addio al celibato di Amanda Seyfried che non si accorsero neanche che ero uscita.
Ciò che più mi sorprese appena mi trovai fuori, fu il freddo. Era come la notte prima. Nathaniel era ancora lì, immobile.
Uscii dal giardino e andai davanti a casa sua. Non mi aveva vista, aveva il viso girato verso sinistra, come se aspettasse qualcosa.
“Ciao” dissi.
Lui si voltò lentamente verso di me. Appena mi vide, si riscosse.
“Buona sera” e si girò di nuovo verso sinistra.
Rimasi lì impalata, ad osservarlo. Che strano ragazzo. Che cosa aspettava, a quell'ora della notte? E poi... ora che stavo di nuovo vicino a lui c'era uno strano sentimento che si stava facendo strada in me, come se dovessi scappare. Ma al tempo stesso un'altra voce mi diceva di rimanere accanto a Nathaniel, di parlargli. E io ascoltai quella voce.
“Cosa stai aspettando?” chiesi. Non mi era venuto in mente nient'altro.
Nathaniel si rigirò verso di me.
“I miei genitori. Sarebbero dovuti arrivare oggi. Eppure, non ci sono.”
“Saranno in ritardo. E poi, non puoi chiamarli al telefono?”
Non appena udì le mie parole, la faccia di Nathaniel si contrasse. Il suo incarnato, già molto pallido, diventò verdastro e i suoi lineamenti diventarono una maschera di rabbia. Diventò orribile, sembrava il diavolo in persona.
Ebbi paura, scappai. Ma dopo qualche passo di corsa mi fermai e mi girai. Nathaniel non era più davanti a casa sua.
Com'era venuta, la paura se ne andò. Cosa era successo? Perché si era arrabbiato? Gli avevo solo dato un consiglio, dopotutto. E ora dove diamine era sparito?
Entrai nel giardino incolto e comincia a girare intorno alla casa. Il mio respiro si spandeva in piccole nuvole attorno a me.
E poi, alla fine, lo trovai dietro alla casa. Era di spalle, e guardava la luna, che aveva appena finito di nascondersi da dietro una nuvola. I suoi raggi facevano risplendere i suoi capelli biondi.
Mi misi accanto a lui, e lo osservai. Non era più come prima, con i lineamenti contratti dalla rabbia. Anch'io guardai la luna.
“Scusami, per prima. Non volevo farti arrabbiare.”
“Di cosa stai parlando?” chiese.
Sorpresa, mi voltai verso di lui esterrefatta. Ripensai a prima. Ora, quel momento mi sembrava come un sogno, un incubo, un attimo in cui avevo agito senza ragionare. Sospirai.
“Di niente.”
Rimanemmo lì, senza parlare.
“Tu cosa vedi nella luna?” mi chiese d'un tratto.
“Come?”
Che strana domanda. La luna era la luna, l'avevo sempre considerata come un ammasso di polvere. Anche da bambina, non l'avevo mai veramente osservata. L'unica cosa per cui la apprezzavo era per la luce che emanava e per il fatto che, così, dava al mondo il colore della mia anima.
Alzai lo sguardo e la osservai attentamente.
“Beh...” Mi concentrai. “Forse...una faccia.”
Lui mi guardò sorridendo, con i suoi azzurri che in quel momento risplendevano come metallo liquido.
“E come?”
“Beh...non so. Quei due grandi crateri potrebbero essere due occhi, e poi quello più grande ancora in basso una bocca aperta...diciamo che mi sembra una faccia tonda girata di tre quarti che è sorpresa.”
Nathaniel continuò a sorridere. Poi si voltò di nuovo verso il satellite.
“Io invece ci ho sempre visto un uomo e una donna che si baciano. Non lo vedi?”
Me la indicò.
“Tra quelle due fessure scure...sembrano due volti di profilo che s'incastrano perfettamente l'uno nell'altro.”
Osservai meglio l'astro. Cristo...aveva ragione! Le due figure si delinearono ancora meglio nella mia mente, e mi chiesi come avessi fatti a non notarle mai.
“È impudico, lo so, immaginare una cosa del genere...ma non so. Ho sempre visto quello” continuò Nathaniel.
“Impudico?” aggrottai la fronte. “A me non sembra che due persone che si baciano sia un pensiero così impudico. Cioè...lo fanno tutti.”
Lui continuò a guardare la luna. Io, intanto, avevo cominciato a osservare le nuvolette che mi uscivano dal naso, come il fumo dalle narici di un drago. Il fumo...oddio, la mia sigaretta! Guardai la mia mano destra. Si era spenta. Me ne ero completamente dimenticata. Avevo visto Nathaniel, quella strana forza mi aveva trascinato fuori di casa verso di lui...sicuramente si era spenta mentre uscivo. Beh, in ogni caso aveva un altro accendino nella tasca del giubbotto. Riaccesi la sigaretta. Aspirai ed inspirai il fumo, gustandomi il sapore del tabacco. Nathaniel si voltò verso di me, mi lanciò un'occhiata stupita e si rigirò.
“Sei davvero strana, Lily Byrd” disse con tono divertito. Ma c'era qualcosa, in quel tono, che mi fece venire la pelle d'oca. Non sapevo perché, ma sentivo come se dovessi provare una sensazione di pericolo. E invece non la provavo.
“Le poche volte in cui ti ho vista, eri sempre vestita di scuro, parli come un ragazzo di strada, inoltre fumi come un uomo ed hai un anello nella lingua. Davvero una strana ragazza.”
Si mise davanti a me e mi guardò negli occhi. Sostenni il suo sguardo. Era come se sulla Terra fossimo rimasti solo io e lui. Tutto era sparito intorno a noi, il giardino, la vecchia casa, la strada, il villaggio, il mondo intero. Era come un gioco d'ipnosi, in cui l'uno doveva ipnotizzare prima l'altro. Nonostante ci fosse come una scintilla diabolica negli occhi di Nathaniel, io lo fissavo, e rimanevo impassibile a quello sguardo che voleva divorarmi. E poi...d'un tratto...il ragazzo cominciò a fissare il suolo, e tutto il mondo tornò intorno a noi. Mi scossi. Sembrava che fossero passati solo pochi secondi.
Portai la sigaretta alle labbra. Quando entrò nel mio campo visivo e me la portai alle labbra, restai però sbalordita. Era completamente consumata.
“Credo che tornerò in casa” disse Nathaniel. “I miei oggi non verranno.”
“Temo di no” gli risposi.
Lo riaccompagnai fino alla porta.
“Beh...buonanotte.”
Lui mi sorrise tristemente.
“Buonanotte.”
Entrai in casa. Mi accorsi che dalla TV si sentiva una musica dell'inizio di Mamma Mia. Che le due pesti avessero rimesso il film due volte di seguito?
Ma quando entrai nel salotto le trovai tutte e due addormentate. Ma...guardai l'orologio. Oggesù! Era quasi l'una del mattino! Eppure...ero uscita di casa che erano appena le dieci. Possibile che fosse passato tutto quel tempo?
Quella sera, dopo aver messo Violet e Rose a letto, rollandomi una seconda sigaretta, pensai che Einstein aveva davvero ragione, quando parlava di relatività.

2 commenti:

  1. Ciao, non pensavo pubblicassi oggi la "puntata", è stata una bellissima sorpresa. Naturalmente anche questa volta mi ha affascinata , io penso che tu sei proprio brava, hai grande capacità narrativa e una fervida fantasia...mi piace leggere quello che scrivi. Alla prossima, un abbraccio.
    Antonella

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    1. Ciao, si, l'ho pubblicato oggi, mi scuso per l'assenza di mercoledi' ma ho passato tutto Ferragosto e ieri fuori casa...Ma almeno così dovrai aspettare di meno per l'episodio 6!!!
      Grazie ancora per i complimenti!!!

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